La barca del team Prada Pirelli, la sfida italiana alla Coppa America, si è aggiudicata il diritto di competere per l’aggiudicazione finale di questo ambito trofeo, e, avrebbe potuto arrivare a scrivere la storia del torneo: la prima vittoria in assoluto; un tassello innovativo di questo ultracentenario, tradizionale contest velico internazionale, il più antico esistente al mondo. Il suo nome è “Luna rossa”.
In questo marzo 2021, dopo 21 anni dall’altro sfortunato tentativo, e dopo più di quarant’anni dalla prima sfida italiana, ci sono cose vecchie e nuove da ripensare, se diamo retta a Cino Ricci, il pioniere di questa impresa velica internazionale; dice che lui non è veramente mai sceso dalla barca che per prima aveva tentato il colpo. E, come lui, i suoi compagni di equipaggio. In continuità con quella meravigliosa avventura, sono i colori a rappresentare, nel caso italiano, questa eterna ambizione di conquista rivolta ad orizzonti sportivi sconosciuti: “Azzurra” negli anni ’80, poi “Il Moro”; infine, a partire dalla prima vittoria per l’accesso in America’s Cup, proprio l’ostinato, sperimentato e ultracompetitivo team di “Luna rossa”.
Non per caso, se prendiamo il caso degli sport della vela osserviamo che molto spesso le barche, in specie quelle da competizione, hanno nomi dedicati alla luce, agli astri, allo spirito, alla visione ispirata dalla profezia o dalla fantasia. Questa simbologia può essere descritta e analizzata concettualmente, al fine di comporne una descrizione sistematica. Come per la teoria dei colori (ad es., quella di Goethe, esaminata nel precedente articolo) si tratta di evidenziarne una fenomenologia. Il primo punto da considerare è il seguente: i nomi che hanno come sfondo questi aspetti di così forte impronta spirituale sono legati al desiderio che assegniamo loro, come finalità, di essere innanzitutto intraprendenti e vincenti; quello che l’immaginazione coglie in tutti questi ambiti di manifestazione esteriore dell’ambizione personale o collettiva è l’espressione di uno schema mentale – quello che in linguistica cognitiva, nella variante embodied, si chiama “frame” – orientato dall’idea di avventura o di intrapresa, al cui centro c’è naturalmente l’azione. L’azione da compiere può essere così preceduta, accompagnata e guidata da questo stesso schema della mente, in forma di cornice universale inconscia.
Arrivare a compiere una missione, insistendo su un progetto già in parte vincente ed ancora, dopo lungo e faticoso sforzo collettivo, ritentare, con tutto il contorno di capitale professionale umano, e con gli investimenti tecnologici che comporta. È questo ciò che un giorno potrebbe vedere realizzato quello che in origine aveva corrisposto ad un’intuizione e ad un sogno: portare nel proprio paese la meravigliosa sfida.
Ma per riprendere il punto relativo alla verità dell’esperienza spirituale nel suo significato concreto e vivente, e sempre a proposito di autentica sfida e di visione imprenditoriale, insomma, di sportivi autentici, dediti a questa stessa attività, vale la pena di tenere a mente un modello di successo nel mondo della moda: un campione nei 400 metri ostacoli, disciplina regina dell’atletica leggera, Ottavio Missoni; un’altra eccellenza di questo settore industriale, e – non a caso – un altro maestro dei tessuti e del colore.
Elementi di programmazione razionale secondo princìpi di lucida follia, di ispirazione visionaria, e di performance di riconosciuta classe ed eleganza convergono in tutti questi casi esemplari di attività creativa; quello che osserviamo all’opera nel caso dell’industria della moda e più in generale della produzione artistica non è la mera teoria o l’elaborazione di una idea astratta. Più che a livello teorico, è sul piano sperimentale e creativo che, come a proposito del tema dei colori, osserviamo l’ideazione in laboratorio di ogni rinomata cifra stilistica riconoscibile nella produzione. Ecco ciò che così tipicamente contraddistingue l’abito della maison Missoni. Sia come oggetto ricavato dalla pratica artigianale e artistica, sia come modello esemplare di bellezza: il risultato ultimo del lavoro dettato e derivato dall’esperienza, sviluppata nel tempo. È la forza di una idea non comune. Ed è proprio questo ciò che chiamiamo spiritualità.
La spiritualità è una forza in animo a chi osserva il proprio ambiente, una sana fisiologia dell’essere vivente che la riproduce in armonia con ciò che lo circonda dall’esterno, rispecchiandone lo spettro cromatico; per Goethe, esattamente quello che lo studio dello spirito, osservato in Italia nella memoria letteraria del suo viaggio ed applicato a questo scopo, ha a suo tempo alimentato. Il risultato di una stratificazione storica dell’esperienza vivente; quella che, scientificamente, simbolicamente e umanamente (nel caso della nostra specie) permette in assoluto di conoscere e di fare.
L’arte, intesa in questo senso pratico, nel suo processo creativo (come succede nella riflessione e nella meditazione) riflette questa stessa forza tramandata; vivendo nell’insegnamento imperituro della tradizione, con cui essa dialoga inconsciamente ed incessantemente, più che ad un esame analitico di costi e benefici, è all’immagine completa di una tipologia simbolica che occorrerà guardare.
Ora, se ci facciamo attenzione, esperienza pratica dello spirito nello sport significa esattamente questo; anche praticando una disciplina individuale, ogni anche singola, minuscola esperienza diviene un bagaglio naturale di conoscenze condivise che ci accompagna per sempre nella vita: essere stati forgiati da un ambiente, da un collettivo, da un’impresa. Questo è il gioco senza il quale, forse, non vale neanche la pena di dirsi sportivi o giocatori.
Delineare un percorso d’iniziazione coerente e di definizione lucida dell’elemento spirituale, isolare e selezionare questo tipo qualitativo di esperienza nella vita, è impossibile; e renderlo leggibile per decifrarne il codice da manuale sarebbe altrettanto poco convincente in assoluto, quanto affidarsi a un guru motivazionale, o vagamente “spirituale”. C’è, però, un insegnamento che a livello competitivo ogni gara sportiva illustra e che ogni partecipante alla sfida agonistica accetta e sperimenta a proprie spese. Passione, sforzo, sofferenza, cattiveria, grinta; sono tutti fattori che riconducono a tale esperienza, e che la psicologia, in ambito sportivo, può estrapolare secondo priorità e gerarchia per una risposta.
Come nell’unione delle forze che esemplifica lo spirito di squadra, l’esperienza di navigare e di competere per il successo è impresa collettiva, in cui l’agire innovativo e la forma artistica originale si compongono; si tratta di una legge filosofica ideale, che vale tanto per lo sport quanto per l’economia: la visione assoluta è il motore di ogni impresa umana, e l’emanazione del colore ne è il riflesso pratico.
È quindi un fattore unificante dello spirito ad illuminarne il senso. Alla radice inspiegabile di tutto, nella follia, esiste qualcosa da ricercare, come la saggezza. Anche se il saggio, si sa, è sempre difficile da trovare.